Ieri la Commissione Europea ha reso note le “pagelle”.
A stupire non è tanto l’Italia (era quasi scontato un giudizio interlocutorio), quanto, invece, la “messa sotto osservazione” di Paesi tradizionalmente “rigoristi”, quindi molto attenti ai conti (viene da pensare, però, a quelli degli altri…) come l’Olanda, il Lussemburgo, l’Austria, la Germania o, addirittura, la bocciatura di altri, in primis Francia e Finlandia, giudicati “non in linea con le raccomandazioni” UE. In tutto, sui 20 Paesi membri esaminati, solo 7 (Cipro, Estonia, Grecia, Spagna, Irlanda, Slovenia e Lituania) sono stati promossi a pieni voti. 9 (Germania, Austria, Lussemburgo, Lettonia, Malta, Olanda, Portogallo e Slovacchia, oltre all’Italia) devono muoversi con grande cautela e attenzione, pronti ad eventuali interventi correttivi. 4, invece, devono “correre ai ripari” sin da subito (Belgio, Francia, Finlandia e Croazia).
E’ evidente che le cose, in Europa, tanto in ordine non lo sono ancora.
Il Covid prima, la necessità di politiche fiscali, da parte della UE e dei singoli Governi, molto espansive poi, per “recuperare” il terreno perduto, l’arrivo dell’inflazione ancora dopo (probabilmente anche a causa non solo delle politiche fiscali, ma anche, per non dire di più, per le eccezionali politiche monetarie delle Banche Centrali), a cui va aggiunta la guerra in Ucraina, hanno causato disequilibri e storture a cui non è stato ancora possibile porre rimedio. Come è stato difficile tornare alla “normalità” in termini di vita quotidiana (per quanto nulla sia più come prima, basti pensare allo smart working, oramai “regola di vita” in tutte le aziende), cosa ancora forse più complicato lo è per le istituzioni e i Paesi. Esempio ne è la difficoltà che incontra il ritorno al Patto di stabilità europeo: per quanto da tempo si sapesse da tempo che dal prossimo 1 gennaio 2024 la UE avrebbe riattivato la procedura (uno dei punti fondamentali per tenere “in piedi” l’Europa), a poco più di un mese da quella scadenza nessun accordo è stato trovato e, da qui all’8 dicembre, ultima “data utile”, si dovrà correre per trovare “la quadra”.
Compito non semplice, quindi, quello che deve affrontare la Commissione Europea, per non parlare di quello di Paolo Gentiloni, Commissario UE agli Affari Economici, e quindi coinvolto in prima persona nell’esame dei “conti”.
A ben guardare, tra i Paesi ritenuti, da un punto di vista economico e, ancor di più, politico, in grado, quindi, di “indirizzare e influenzare” le scelte da parte di Bruxelles, nessuno (né la Francia, né la Germania, né l’Italia, ma neanche l’Austria, l’Olanda, la Finlandia, prese quasi “a modello”) nessuno è in “prima fascia”, per usare un termine sportivo che si può prendere a prestito e che rende molto bene l’idea. Solo la Spagna, che ci segue “a ruota” in termini di PIL, tra le nazioni più forti, nonostante una crisi politica durata qualche mese, è stata capace di superare l’esame.
Il fatto che ben 13 Paesi su 20 abbiano presentato leggi di bilancio non in linea con le indicazioni UE potrebbe essere, tutto sommato, di aiuto per il nostro Paese, alle prese con un rientro dal debito e, fatto giudicato forse ancora più critico, dal deficit, molto difficile. A preoccupare l’organismo europeo sostanzialmente 3 elementi: una spesa primaria (quella al netto degli interessi sul debito pubblico, circa € 880 MD per il 2023) superiore a quella prevista a causa dei crediti d’imposta sul Superbonus 110%, un utilizzo dei fondi risparmiati grazie all’eliminazione del sostegno energetico (per es. quello sulle accise per la benzina) non finalizzato alla riduzione del debito, ma al finanziamento di nuove spese, una portata piuttosto limitata degli effetti della tassazione sul lavoro (il cosi detto cuneo fiscale).
Certamente, dalle parti di Berlino piuttosto che di Amsterdam o di Helsinki, solo per citare alcune capitali dei Paesi da sempre più “critici” verso le nostre politiche economiche, oggi si presterà un po’ più di attenzione prima di “puntare il dito su di noi”. Peraltro, ciò non risolve il problema di fondo: in Europa, oggi, ogni Paese si trova a fare i conti con una situazione ben diversa da quella del 2019, con difficoltà evidenti su ogni fronte (pubblico, imprenditoriale, famigliare) nel far “quadrare i conti”. Un buon motivo per prendere in considerazione il fatto che una “rivisitazione” degli Trattati di Maastricht del 1992, che hanno gettato le basi per la nascita dell’Unione Europea, forse oggi è diventato non più rinviabile se non si vuole mettere a rischio l’idea stessa di Europa (che poi è il concetto espresso non più tardi di qualche settimana fa da Mario Draghi).
Chiusura incerta, ieri sera, per Wall Street, con il Nasdaq in arretramento dello 0,58%, il Dow Jones dello 0,18% e lo S%P 500 dello 0,20%, forse frenati dalla pubblicazione delle “minute” della FED, da cui emerge ancora un atteggiamento di cautela in merito all’andamento economico e ai conseguenti eventuali ulteriori interventi monetari.
Incertezza che si conferma questa mattina sui mercati asiatici, dove solo il Nikkei a Tokyo dovrebbe chiudere in territorio positivo (+ 0,29%), favorito dalle dichiarazioni del Governo, che stima una ripresa dell’economia del “Sol levante”. Deboli Shanghai, con l’indice che cede lo 0,79%, mentre l’Hang Seng di Hong Kong sta cercando, in questi minuti, la strada del recupero, portandosi vicino alla parità (– 0,18%).
Futures appena deboli a New York, mentre in Europa si sono portati sopra la parità.
Stabile il petrolio, con il WTI a $ 77,74 (- 0,15%).
Appena debole il gas naturale Usa, a $ 2,839 (- 0,46%).
Torna sopra i $ 2.000 l’oro (2.004,90, + 0,07% questa mattina).
Spread a 173,4, con il BTP al 4,31% (ma ieri era sceso anche sotto il 4,30%).
Bund 2,56%.
Treasury a 4,42%.
Leggero rafforzamento per il $, con l’€ sceso a 1,0908.
Bitcoin a $ 36.514, in salita, questa mattina, del 2,13% dopo lo scivolone di ieri.
Ps: ieri Andrea Bocelli ha tenuto un concerto (ovviamente tutto esaurito) a Zurigo. Fra i tanti accorsi ad ascoltarlo anche Roger Federer. Saputa la cosa, il tenore lo invita sul palco, definendolo “una leggenda vivente”. E gli dedica l’ultima canzone, Gloria a te. Più che una leggenda, quasi un “semidio” (del tennis, per rimanere allo sport).